Il minimo che si possa dire al cardinal Krajewski (don Corrado) è un “grazie”: un grazie dal profondo del cuore.
Don Corrado è quel prete (l’elemosiniere di papa Francesco) che una sera si è calato in un pozzetto di tre metri e ha ridato la luce a un intero stabile.
Ci vuole anche una certa competenza e la consapevolezza di correre qualche rischio per ricollegare fili disconnessi al fine di far riapparire la luce e ridare l’energia elettrica a un palazzo in cui la corrente era stata interrotta per morosità.Ma a muovere l’interesse di don Corrado (e il nostro) è stato il fatto che in quel palazzo vivono 400 persone (tra le quali 100 bambini e almeno 30 anziani ammalati e bisognosi di cure. Persone che vivevano ogni giorno con l’incubo dell’arrivo della notte con il suo carico di paura e di angoscia. E di freddo. Prima di calarsi nel pozzetto, don Corrado non ha chiesto la carta di identità degli occupanti lo stabile. Non ha chiesto la loro nazionalità, né la loro provenienza, né la loro fede religiosa. Non “prima gli italiani”, secondo la becera distinzione oggi così di moda. Ha preso atto che si trattava di persone, certamente povere e messe ai margini da una ingiustizia purtroppo dilagante: persone e basta, non italiani o stranieri, non santi o peccatori. Persone: uno statuto sufficiente a ridare loro una dignità, autoritariamente negata. Una dignità che viene riconosciuta non solo dal Vangelo in cui don Corrado e noi crediamo, ma da una Costituzione – la più bella del mondo – molti articoli della quale vengono troppo spesso calpestati. Il lavoro perché questa nostra Costituzione venga totalmente onorata è ancora lungo: dobbiamo accingerci all’opera. Noi non vogliamo un Paese forte con i deboli, debole con i forti.
Grazie don Corrado per questa lezione di fede e di coraggio. Che sarà tanto più valida, quanto più ognuno di noi saprà riconoscersi in essa e soprattutto disposto a fare sempre la scelta degli ultimi. Costi quel che costa.
LUIGI GHIA
Direttore di Famiglia Domani, rivista dei CPM italiani.