La Parola di Dio seminata in noi ci riconduca  alle radici delle aspirazioni umane per essere capaci di confrontarci con il gemito dell'uomo.

La Parola di Dio diventi il pane della nostra vita.

Tutto passa solo Dio resta.

 



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IL SERVIZIO COME DONO DI AMORE AI FRATELLI

Il comandamento nuovo “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”

(Gv 15,12-13) e la lavanda dei piedi (Gv 13, 1-17) sono alla base del servizio.

Gesù ci chiede di amare modellando il nostro amore al suo e le componenti del suo amore per noi sono “incarnarsi, condividere e dare la vita”.

Gesù si incarna, prende la nostra stessa carne e ci chiede di fare altrettanto con i nostri fratelli: incarnarsi vuol dire mettersi nei loro panni, cercare di capire prima di giudicare, chiedersi: “Io al loro posto come mi sarei comportato?”

Gesù condivide la vita del suo popolo, vive con la sue gente e ci chiede di mettere in comune la nostra vita, i nostri beni, le nostre capacità, il nostro tempo, ecc.

Gesù muore per noi e ci chiede di saper fare altrettanto per i nostri fratelli: saper dare tutto noi stessi, rinunciare a noi stessi perché altri abbiano vita o abbiano una vita migliore. Occorre saper fare un passo indietro perché altri possano camminare.

Nella lavanda dei piedi Gesù si fa’ servo e da’ l’esempio e dice agli Apostoli: “Vi ho dato un esempio perché, infatti, anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Questo episodio è inserito nel contesto dell’Ultima Cena, nello stesso contesto dell’istituzione dell’Eucaristia. Gesù lascia un doppio comando: “Fate questo in memorie di me” e “Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. Al momento rituale dell’Eucaristia, irrinunciabile, deve seguire il momento del servizio, altrettanto irrinunciabile.

Il pane spezzato, il sangue versato e le vesti deposte (ancora segno del deporre la vita) diventano una consegna precisa: l’Eucaristia deve essere prolungata in una vita di servizio e di accoglienza, altrimenti non si dà seguito in modo completo e pieno al doppio comando di Gesù.

Molte volte la Scrittura ci presenta Gesù come servo, il Servo di Dio per eccellenza e Gesù, a proposito del suo essere servo, dice: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).

In questa frase ci sono quattro indicazioni basilari per servire come Gesù.

  1. “Sono venuto per” – Servire è una dimensione dell’intera esistenza, non un frammento del nostro tempo o del nostro agire. Servire tocca la persona, non semplicemente le sue azioni e le sue cose. Servire è un modo di esistere, uno stile che nasce dal profondo di se stessi. Dobbiamo interrogarci nel proprio modo di pensare e ragionare, prima che in quello di agire, se davvero vogliamo imparare a servire. Il buon Samaritano denota con il suo comportamento che il servire non è solo legato all’occasione di quell’incontro, ma fa parte della sua vita: quello è il suo modo di vivere, il suo stile di vita. Non si limita a fare quello che ritiene doveroso in quel momento, ma si fa carico del ferito anche per il dopo: lui vive così.
  2. “Ma per servire” – Lo stile del servizio si oppone nettamente alla logica del farsi servire. Le due logiche non riescono a convivere e tentare di farlo è pura illusione: l’una prevarrà sempre sull’altra. Per il Vangelo, se un uomo è egoista, lo è dappertutto, nella vita privata come nella vita pubblica. Questo significa che non si possono vivere alcuni spazi come servizio e altri come ricerca di sé. Lo stile, che è sempre un modo di essere prima che di fare, accompagna la persona ovunque. Se ciò non avviene, significa che il servizio non è ancora diventato una qualità della vita: rimane qualcosa di posticcio, di fragile, non qualche cosa che ha modificato il centro della persona.