Uno dei “segni” della nostra società sul quale in genere meno si riflette è quello del “tempo”,a cui i soggetti finiscono col dare un valore quantitativo lasciandosi così dominare dalla sua frenesia e dal conseguente bisogno di fare e di conquistare.
Uno dei limiti dell'essere umano è l'incapacità di conoscere e dominare il tempo Eppure la tensione dell'uomo e della donna di ogni epoca è quella di dare un nome e di classificare il tempo: dal tempo ciclico a quello progettuale, dal tempo escatologico a quello autistico, dal tempo della storia al tempo dell'amore Ed è proprio quello dell'amore il tempo nuovo che occorre inaugurare...
"Il lavoro, tra gli altri vantaggi, ha quello di accorciare le giornate e di allungare la vita".
(D. DIDEROT)
Inviti e messaggi a non accontentarsi dei limiti angusti nei quali sembra imprigionato il destino umano giungono, soprattutto nelle ore che dovrebbero servire a ricaricarci dalle fatiche del giorno, da una pletora di maghi, indovini e chiaroveggenti. Le notti lunghe e inoperose si accorciano, orinai, grazie ai fitti richiami sessuali e agli adescamenti condotti da questi affaristi dell'occulto i quali, scimmiottando aforismi o deduzioni da una new age di bassa lega, interpretano oroscopi e promettono successo e fortuna a tutti gli sprovveduti che mal sopportano la loro condanna a vivere in una dimensione di cui non possono avere anticipazioni. Basterebbe un attimo di lucido ascolto e un briciolo di spirito critico per rendersi conto della pochezza e della grossolanità con cui vengono affrontati e proposti gli argomenti più inquietanti con la complicità dei terminali televisivi, strumenti insostituibili, orinai, del nostro villaggio globale.
Il bisogno di conoscere e di andare oltre la barriera del mistero, porta necessariamente ad oltrepassare la sfera del sensibile ed entrare nel mondo dello spirito. In questa inquietudine, l'incognita legata alla impossibilità di esplorare i contenuti del futuro produce una sete di significato destinata a rimanere insoddisfatta e sulla cui onda lunga trovano energia per sopravvivere i moderni druidi. Forse l'errore che si commette con più frequenza consiste nell'identificare e nel confondere la dimensione psicologica e la dimensione spirituale dell'essere umano; e cioè da un lato attribuendo ad ogni stato psichico un incondizionato carattere di sacralità, e dall'altro lato riducendo ogni autentica esperienza della trascendenza in semplice e quotidiana esperienza vissuta.
A far da cassa di risonanza, poi, a questa fonte di errore, ci pensa la struttura sociale di fronte alla quale non esistono fattori deterrenziali - vedi condanne e anatemi - in grado di impedire il contagio. Il culto del benessere ha annullato di fatto le coordinate che univano l'uomo alla sua religiosità. Quasi tutti gli imperativi hanno trovato una soluzione: successo, fortuna, potere, longevità sono nel pugno della scienza e delle tecniche attuali. Una cosa sembra rendere l'uomo ancora preda dell'ansia: l'incapacità di conoscere e dominare il tempo.
La dimensione più antica: la storia del tempo
Dal primo uomo che si è posto un interrogativo al più attuale dei filosofi, il problema della inarrestabilità del tempo ha avuto legami, a sua volta influenzandola, con ogni tipo di speculazione. Se ripercorrere le tappe di questa ricerca può risultare pedante, diventa ricco di fascino vedere con quale pensiero poliedrico sia stato capace di rivestirsi lo scorrere - il panta rei di Eraclito - nell'immaginario che ha dato colore al corso dei secoli.
Presso i greci si trovano due figure di riferimento: il tempo ciclico, scandito dalla successione delle stagioni e che serve ad esprimere la regolarità con la quale gli eventi trascorsi o accaduti sono destinati a ripresentarsi e il tempo progettuale che, spezzando il ritmo della natura, si rapporta all'uomo e alle sue intenzioni e acquista la valenza di una dimensione nuova, regolata non dal ritorno di un evento, ma dal perseguimento di un bersaglio.
Nell'epoca cristiana prende forma l'idea del tempo escatologico per il quale la storia dell'uomo appare già scritta all'alba delle origini e trova realizzazione nel tempo. Con S. Agostino, il concetto di storia diventa implicito nel momento in cui si sottrae la temporalità alla insignificanza della ciclicità e alla brevità della progettualità dell'individuo.
Nell'età moderna, con l'avvento della meccanica galileiana, da iniziali posizioni scientifiche, il tempo diventa spartiacque tra empiristi, che ribadiscono il carattere psicologico della temporalità, e razionalisti che nel tempo ravvisano qualcosa di ideale, fino alla teoria mediatrice di Kant che lo definirà forma a priori della conoscenza.
Poi, a partire dalla fine dell'Ottocento, alle grandi scoperte sulla irreversibilità dei fenomeni termodinamici fanno seguito tre intuizioni sul tempo in grado di influenzare tutta la filosofia contemporanea: l'unità spazio-temporale ipotizzata da Einstein, il tempo come dimensione ontologica che inaugura la fenomenologia di Husserl e il tempo come durata della vita psichica concepito da Bergson e sulla quale verrà impostata tutta la mole della psicologia scientifica.
Nel suo procedere quotidiano, tra impegni, affanni e gratificazioni, l'uomo riesce a sopravvivere grazie al particolare significato che dà a questa dimensione; un significato che è frutto del senso con cui percepisce il trascorrere dei propri anni. Qui entra in gioco tutta la precarietà con cui è capace di destreggiarsi. Basta davvero poco perché propositi e convinzioni subiscano impennate e inversioni di tendenza, apparentemente prive di qualunque fonte di razionalità. 1 cieli della nostra vita sono così complessi che ogni attimo da noi vissuto sembra scandire il ritmo di un respiro eterno. Ma la vera ragione di stupore sta nel modo con cui siamo portati a considerare il nostro e l'altrui tempo. Se il romanzo è lo sguardo con cui si interpreta liberamente una vicenda o un costume sociale, l'ostinato scandire, inarrestabile e quasi persecutorio, di questa unità di misura che convenzionalmente abbiamo messo a guardia delle notti e dei giorni, si riveste, nelle diverse fasce della nostra esistenza, di connotazioni e significati poliedrici e multiformi.
Nell'infanzia il mondo è dipinto solo di senso: colori, odori, tatto, Il tempo ha un peso totale perché l'idea della morte non ha ancora il senso della concretezza e della inevitabilità.
Poi c'è l'epoca delle storie che si presentano e sono volutamente vissute per uniche: belle perché siamo noi a stabilire che non debbano finire mai.
Alla fine troviamo i luoghi che hanno fatto da alcova per le delizie trascorse e consumate e che da un certo momento si trasformano in camere ardenti per la contemplazione dei ricordi.
Il tutto con la complicità di un tempo percepito e mai valutabile con oggettività perché, come ammoniscono le scuole della moderna psicologia, a tutte le dissertazioni che si sono fatte si deve aggiungere quella sul tempo autistico, secondo la quale nelle stima della dimensione temporale ci serviamo tanto dei riferimenti senso-motori, quanto di quelli sociali. Un sogno della durata di una frazione di secondi può contenere una storia di mesi; un incontro, un intervento, un'emozione, possono, in base alle attese con cui li abbiamo immaginati, rivelarsi inafferrabili o interminabili.
E quando l'uomo prende coscienza di essersi assuefatto alla ricorrenza degli eventi - catastrofi o responsabilità sociali -, il degrado che avverte è per la storia del singolo e non per l'alternarsi ineluttabile delle vicende politiche. La sensazione che scaturisce per chi ha spirito di riflessione e voglia di guardarsi dentro è che per tutto il percorso della vita siamo accolti nel grembo del tempo, dimora nella quale trascorriamo le alterne vicende dei nostri momenti, ma della quale, a dispetto di tutti i diritti e le legislazioni, siamo solo ospiti - pro tempore! - e di passaggio.
La dimensione più attuale: il tempo della storia Mi torna in mente ogni tanto, una canzone della mia gioventù con un refrain che ripeteva "è l'ora dell'amore". L'epoca era quella che ci predisponeva ai polveroni della pretesa rivoluzione culturale del '68; l'invito era di sapore edonistico; il senso, per quello che ricordo, poteva avere più di una lettura. Preso alla lettera, cosa poteva voler dire è l'ora dell'amore?
Da bambini, accanto alla corporeità che la fa da padrona nella nostra vita di relazione, ognuno sente che è bello e pieno di tenerezza avere qualcuno da amare ed essere circondati da affetto. Nell'adolescenza si scoprono i gesti che hanno significati completamente da rivestire, come gli abbracci, gli sguardi incrociati, i rossori e i turbamenti. Nella maturità la prudenza fa da filtro alle intrusioni e la capacità di discernimento mantiene il primato sulla curiosità, tanto che, a furia di ostentare l'autocontrollo, si raggiungere l'invidiabile traguardo della affidabilità. Da vecchi i ricordi accompagnano le passeggiate Del viale della nostalgia, amica fedele e, qualche volta, impietosa, dei tanti momenti di solitudine. In tutto questo incessante scorrere di eventi, il binomio tempo-amore passa quasi inosservato. Per tutta la vita siamo cullati dall'amore, ma troppo superficialmente si avverte che questa è la dimensione più autentica dell'esistenza e che il tempo per amare non basta mai.
L'ora dell'amore è in ogni attimo che passa perché l'atto del progettare, del comunicare, del condividere si riveste di sacralità ogni volta che l'uomo si sforza di entrare con la mente nella preziosità del tempo che lo permette e che ha a disposizione. La nostra cultura ha raggiunto una capacità speculativa sorprendente: siamo capaci di disquisire sul fatto che nei pochi passi che compiamo per spostarci tra due vani di uno stesso appartamento la terra ha compiuto distanze impensabili nel suo celeste, incessante peregrinare e ci ostiniamo a non convincerci che ogni istante perduto è un'opportunità d'amare vanificata. Il tempo, prima ancora che dell'essere, è occasione d'amore. E quando ci perdiamo nei meandri delle distrazioni, il senso di nostalgia e di rimpianto per aver sprecato l'occasione più importante, ci obbliga a esami di coscienza, come A. Manzoni racconta di Napoleone che " ... stette e dei dì che furono/ l'assalse il sovvenir"; o come confessa G. Carducci " ... e sempre corsi e mai non giunsi il fine ... "; o come, secoli prima, aveva ammesso S. Agostino "Tardi ti ho amato bellezza!".
Nella sua inquietudine, l'uomo finisce per dare al tempo un valore quantitativo e perde la connotazione di soprannaturale e di magico che in esso è racchiusa. L'intera esistenza si trasforma in una corsa frenetica, in un bisogno mai sazio di fare e conquistare, ignorando che la imprevedibile fine acquista senso non per gli sforzi che si saranno fatti nell'allontanarla, ma per la qualità con cui si sarà cercato di trasformare anche il più piccolo e insignificante degli attimi, ne l'ora dell'amore.
Il fascino discreto del tempo
Se l'uomo intuisce di essere ospite del tempo, impossibile che non comprenda come questa ospitalità sia perfettamente ricambiata.
Senza saper come, ognuno di noi si trova ad essere cullato da ritmi che scandiscono le nostre epoche e che, dopo averci presi in consegna, nel momento in cui veniamo alla luce, ci accompagnano fino al traguardo dell'ultimo atto. Il respiro, il battito del cuore, la crescita dei capelli e delle unghie, il ricambio delle cellule appaiono come un grande ansimo nel quale si è immersi dalla nascita e che, anche senza la nostra consapevole partecipazione, si prende cura di ogni nostro attimo di vita, rendendosi garante della nostra sopravvivenza. Il tempo come entità collettiva e astratta, a questo punto si fa unità di misura personalissima ed entra nella vita del singolo, scandendo e stabilendo per ognuno delle onde che diventano unità di riconoscimento. Qui, ognuno di noi avverte di avere un tempo da distribuire e - ben ammonisce il libro della Sapienza - di averne uno a disposizione, adatto per ogni evento. Un po' come dire che è inutile correre per aumentarlo e, in egual misura, che quello che ci viene dato è sacro e non può essere sprecato: il tempo è davvero un ospite scomodo!
La noia come la fretta, le ímprocrastinabili scadenze come l'interminabile aspettare, finiscono con il dare la sensazione di una precarietà in cui tutte le stagioni si assomigliano e nelle quali l'uomo esprime il proprio primato solo con la capacità di prevedere e orientarsi. Sa riconoscere i segni, sa prepararsi per attendere gli eventi, ma ogni volta piange sulla sua incapacità di dominio. La cicala non ha ancora smesso il suo verso che la sera profuma di funghi. L' aria è satura di mosto e vino nuovo e già, appena spento il ceppo sugli alari, la spiga torna biondeggiare richiamando la lucciola fedele e l'instancabile cicala. E il tempo è lì a chiedere di essere letto; giusto e imparziale con i cambiamenti di costume, ma spietato e implacabile con quelle persone che subiscono il disagio di avere un'anima cui devono rimproverare l'incapacità di saper invecchiare.
Ma c'è un rimedio contro il deterioramento - invecchiamento - interiore? Per scoprirlo, l'uomo deve avere il coraggio di guardarsi dentro e cercare di comprendere perché la morte che, come fine del tempo, fa paura a tutti, può far innamorare i santi, gli eroi, perfino il suicida. L'apertura a Dio ha strade infiníte; la chiusura a Lui, al contrario, ci fa scoprire quella solitudine che ci lascia orfano in seno alla terra. E proprio in questo clima che invita l'uomo all'abbandono, il grande filosofo Blaise Pascal affermava: "Dio è un ospite scomodo: anche quando lo metti alla porta resta lì ad aspettare che tu gli apra di nuovo".
La sola condizione richiesta è che l'atteggiamento di apertura inauguri un tempo nuovo: quello in cui si ha la forza di rinunciare al pregiudizio per purificarsi del peccato originale dell'intelligenza e si riscopra che ogni momento è buono per amare.
Giovanni Scalera