La fede non può rassegnarsi alla fatalità della vita, ma ci sprona a impegnarci per dare ad ogni uomo la dignità della speranza. Mettiamoci accanto agli ultimi della terra e diamo loro la coscienza  che sperare é un dovere ed é un diritto.

Questo ci gridano i morti nel Nostro Mare.

Tutto passa solo Dio resta.

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Chi sono la madre e i fratelli di Gesù? Sono i discepoli,coloro che stanno “dentro la casa” e dentro la comunità per ascoltarlo, per fare la volontà del Padre,per ascoltare e “fare” a Parola del Padre. Anche nella famiglia questo criterio del discepolato nei confronti di Gesù va riscoperto giorno dopo giorno, nell’affidamento totale al Maestro.

Il tema di Mt 12,48 è il discepolato Per seguire Gesù occorre essere "dentro" la casa, dentro cioè la comunità E soprattutto occorre ricercare e fare la volontà del Padre Un messaggio forte per la famiglia.

Difficile negare il turbamento che provocano in noi le parole dure di Gesù. E non tanto quando minacciano meritati castighi ("lontano da me, maledetti ... ", Mt 25,41): ci riguardano forse più da vicino, ma riusciamo a inquadrarle nello schema a noi familiare del Giudice giusto se pure spietato. Ma certe espressioni improvvise ce lo mostrano arbitrario e insensibile, smentiscono l'immagine oleografica del Maestro buono, contraddicono i luoghi comuni costruiti sulla retorica buonista della notte di Natale.

Come può Gesù non riconoscere la madre (Mt 12,48)? come può predicare l'odio e portare la discordia (Lc 12,5 l)? come può ordinare l'acquisto delle spade (Lc 22,36)? Quanta fatica devono essere costate agli evangelisti queste frasi inspiegabili, e quanto sicura doveva esse,me la tradizione, perché non si cedesse alla tentazione di espungerle!

Al di là del versetto

I Vangeli non sono letteratura semplice, tutt'altro. Sotto l'apparenza di un linguaggio quotidiano e familiare sta una struttura complessa di rimandi, linguistici e di contenuto, da un testo all'altro in una rete che avvolge l'intero corpus biblico. Difficile anche classificarli: non sono la biografia di Gesù, per lo meno non nel senso moderno del termine; non sono l'esposizione della sua dottrina; non sono un trattato di morale... Gli studiosi ricorrono a un genere letterario proprio, il genere "vangelo" appunto, buona notizia, lieto annuncio.

Ma lieto annuncio di cosa? Gesù, il Signore, è risorto: il nucleo del kerygma primitivo, testimoniato anche dalle lettere di Paolo, ha il suo luogo principe nei racconti della passione, della morte, della tomba vuota e delle apparizioni del Risorto. Tutto il resto, ha detto qualcuno, non è che una lunga introduzione. Impossibile, dunque, fare l'esegesi di un versetto singolo - Mt 12,48 - avulso dal contesto. E non basta neppure collegarlo a ciò che immediatamente precede e segue: sappiamo che spesso tormentata è la vicenda testuale, e non sempre evidenti i criteri con cui i redattori hanno accostato i dati della tradizione, ricavati dalle fonti. 16 necessario piuttosto considerare il versetto sullo sfondo di tutta la Bibbia, confrontarlo con l'insieme dell'annuncio di Gesù, con i brani paralleli e gli altri passi che trattano lo stesso tema. t necessario aver presente l'intenzione guida che presiede al racconto: l'evangelista non fa sociologia, gli preme tratteggiare la figura del discepolo e indicare la via della sequela, si preoccupa molto meno di come devono funzionare le strutture di una società di cui prevede vicino l'assorbimento nel Regno. E necessario, ancora, tener conto del linguaggio simbolico: l'uso spregiudicato di figure tratte dall'esperienza quotidiana e piegate a dire una realtà altra, per la quale ogni espressione rimane inadeguata e deve essere trascesa.

Il brano di cui fa parte Mt 12,48 ("Ed egli... disse: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?") conclude una sezione, inserita tra il discorso sulla missione (Mt 10) e quello delle parabole (Mt 13), in cui l'evangelista raccoglie domande, discussioni e polemiche sull'identità di Gesù. La diffidenza e l'opposizione contrassegnano la maggior parte delle risposte, e tuttavia l'intera sezione è costruita in modo da far prevalere la figura ideale del discepolo, di colui che apre la mente e il cuore al riconoscimento di Gesù: all'inizio è Giovanni Battista, di cui Gesù tesse l'elogio; al centro i "piccoli", privilegiati destinatari della rivelazione del Padre; e in conclusione l'autentica famiglia di Gesù, formata da coloro che fanno la volontà del Padre. Già questa struttura guida la nostra comprensione: l'evangelista non sta parlando qui della famiglia, ma dei discepolato.

Anche i brani paralleli (Mc 3,31-34 e Lc 8,19-21) fanno convergere l'attenzione sulla frase conclusiva: "Chifa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre", tanto che l'introduzione dei "familiari" di Gesù appare casuale se non addirittura strumentale, tesa a far risaltare maggiormente, per contrasto, l'unione fra Gesù e i discepoli. Più utile, per cercare un insegnamento sulla famiglia, riferirsi ad altri passi in cui, sia pure da varie angolature, il tema è presente.

Ma quali famiglie?

Gesù incontra nel corso del suo ministero diverse famiglie, con cui intrattiene rapporti di amicizia se non di parentela: gli sposi di Cana (Gv 2, 1 ss), i fratelli di Betania (Gv ll,lss), la casa di Pietro (Mt 8,14ss). Altre volte viene a contatto con famiglie toccate dalla sventura o spezzate dalla morte: la casa del capo della sinagoga (Mc 5,38ss; cf Gv 4,46ss), la vedova di Naim (Lc 7,12ss), la donna cananea (Mt 15,22ss), dove Gesù porta il messaggio del Regno e della vita. Dedica particolare attenzione ai bambini (Mc 10,13ss e par.) e addirittura rimprovera chi vorrebbe allontanarli da lui. La famiglia costituisce lo sfondo di molte parabole. Soprattutto, Gesù ha accettato fin dall'inizio di nascere in una famiglia, all'interno della quale è cresciuto e cui è rimasto legato per circa trent'anni.

E tuttavia, queste immagini di famiglia racchiudono in sé qualcosa fuori dal comune. Sono spesso famiglie monche: manca la madre nella parabola del Padre misericordioso, numerose sono le vedove, si tace sulla moglie di Pietro, i bambini non sono mai accompagnati dai genitori, Lazzaro e le sue sorelle appaiono come dei singles, condizione piuttosto strana nella società giudaica del tempo... La stessa famiglia di Nazaret, nella sua esemplare semplicità, vive momenti il cui significato simbolico sembra prevalere sul valore storico: le parole di Simeone e Anna, i Magi, l'esilio in Egitto, la risposta del dodicenne Gesù nel Tempio, la silenziosa scomparsa del personaggio di Giuseppe...

Ma quel che colpisce di più, sono le parole di Gesù sui rapporti familiari. Per seguire Gesù è necessario abbandonare tutto, anche la famiglia: addirittura bisogna odiare padre, madre, moglie, figli... (Lc 14,26). Non è concesso indugiare, nemmeno per un saluto (Lc 9,61-62). Perfino un atto dovuto, come rendere onore al padre morto, viene interdetto: "lascia che i morti seppelliscano i loro morti" (Lc 9,59-60). La famiglia è il luogo della divisione, proprio in nome di Gesù (Lc 10,51-53). Il premio della vita eterna è riservato a chi avrà abbandonato non solo i beni, ma la famiglia (Mt 19,29 e par.). Viceversa, non c'è da attendersi nulla di buono dai propri familiari: saranno i primi a tradire i discepoli (Lc 21,16; cf Ger 12,6). Nemmeno Gesù, del resto, ha avuto maggior successo presso i suoi: a Nazaret vorrebbero buttarlo giù dal precipizio (Lc 4,2829), e nemmeno i suoi fratelli credono in lui (Gv 7,5).

Insomma, le famiglie di cui parla il Vangelo non sono mai famiglie molto "normali", e nemmeno quella di Nazaret lo è: ma attenzione a trame conclusioni affrettate. Se Gesù sembra a volte trascurare l'importanza della famiglia e il suo atteggiamento spregiudicato suscita in noi qualche perplessità, è pur vero che la terminologia desunta dall'ambito familiare si impone nella sua predicazione. Gesù dice se stesso attraverso figure familiari: Figlio nei confronti del Padre, fratello e sposo nei confronti della comunità radunata intorno a sé, e infine maestro, figura accostabile a quella patema. Chiama ripetutamente "fratelli" i suoi discepoli, e più tardi Paolo userà addirittura un vezzeggiativo, "figliolini miei" (Gal 4,19), per richiamare a sé i Galati distratti.

Simboli

Ma soprattutto due sono le figure simboliche di ambito familiare portanti nella rivelazione biblica per descrivere il rapporto fra l'uomo e Dio: la figura del Padre, un padre anche questo fuori dal comune, perfino eccessivo nella sua tenerezza; e l'immagine del vincolo matrimoniale, privilegiato in se stesso nel rapporto di coppia, sorprendentemente sciolto da ogni riferimento alla procreazione e alla società familiare.

Il simbolo è una realtà che ne dice un'altra, e non potrebbe dirla se non fosse innanzitutto preso sul serio nella sua realtà, nel suo significato immediato e naturale. Non potrebbe la figura del "Padre" dire l'universalità e l'amore di Dio, se non ci fosse innanzitutto la realtà concreta e vissuta della paternità umana, a tutti noi ben nota e vicina. Non potrebbe l'immagine delle nozze dire l'unione intima che l'azione redentrice del Cristo instaura tra Dio e uomo - quella che la tradizione ortodossa orientale chiama "divinizzazione" - se non esistesse come valore positivo l'amore che lega nello spirito e nella carne l'uomo e la donna.

Se la rivelazione di Dio Padre è assurta a cifra del cristianesimo, la metafora delle nozze, che percorre tutto l'Antico Testamento, ritorna prepotentemente nel Nuovo: luogo della prima manifestazione di Gesù (il "segno" di Cana), figura del Regno (il banchetto nuziale delle parabole), immagine privilegiata del compimento nelle ultime pagine del Libro, con le nozze dell'Agnello e della Città santa, adorna come una sposa per lo sposo (Ap 19,9; 21,2).

Entrambe le figure, quella patema e quella nuziale, sono doppiamente riferite all'origine, e quindi al compimento. Origine della vita e dell'essere, l'amore nuziale come modello e culmine di ogni relazione umana, e la paternità-maternità nel rinnovarsi perpetuo del miracolo della nascita. Ma anche origine del Libro, che vede nelle sue prime pagine il racconto fondante della creazione e della prima famiglia umana, l'apparizione della donna necessaria alla perfezione del progetto di Dio (Gn 2,18ss) e la prima nascita umana (Gn 4, l; cfr 3,20). Compimento del Libro, nelle ultime parole del canone cristiano dell'Antico Testamento - "perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri" (Mal 3,24) - e nelle ultime pagine del Nuovo - "beati gli invitati al banchetto di nozze dell'Agnello" (Ap 19,9). E compimento escatologico, in un trascendimento delle figure che passa dal tempo all'eternità, perché se è vero che i "figli della resurrezione... non prendono moglie né marito" (Lc 20,35-36), è vero però anche che la relazione d'amore costitutiva della Trinità è fuori dal tempo.

Cercare, fare, ascoltare

Torniamo al versetto di Matteo da cui abbiamo preso le mosse, o meglio a tutta la pericope di Mt 12,46-50. Alcune stranezze, anche qui, saltano agli occhi. Tua madre e i tuoi fratelli ti cercano, viene detto a Gesù; ci aspetteremmo una premura da parte sua, invece vediamo un'indifferenza scostante, un'estraneità che quasi ci irrita. .Facciamo un passo indietro: "ecco sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli" (12,46). Anche questo, a ben guardare, è strano: perché stavano fuori? A volte la casa che ospita Gesù è talmente piena di folla che nessuno riesce più a entrarvi; sembra questo il caso in Luca (8,19), ma non qui né in Marco. Il tema del "cercare Gesù" (in greco zetein) è frequente nei Vangeli, che però mettono in evidenza che ci sono diversi modi di cercarlo: Gesù sfugge a una ricerca inautentica, si lascia trovare solo dai cuori puri e sinceri. In questo passo la ricerca è per lo meno ambigua: Marco dice semplicemente che lo chiamano, solo altre persone dicono a Gesù "ti cercano" (Mc 3,31-32); Luca dice che vogliono "vederlo" (Lc 8,20). Matteo è più sottile e completo: "cercavano di parlargli", uno strano protagonismo da parte dei familiari...

Perché "la madre e i fratelli" non stavano invece dentro la casa, dentro la comunità, e non cercavano piuttosto di ascoltarlo? Questo è l'atteggiamento richiesto da Gesù: i suoi familiari autentici sono quelli che fanno la volontà del Padre (così Marco e Matteo), o che ascoltano e fanno la parola del Padre (Luca). Sembra inverosimile che da queste caratteristiche possa escludersi Maria, per quel poco che i Vangeli ci dicono di lei. Sorge almeno un dubbio legittimo: si trattava proprio della "madre" e dei "fratelli"?

Chi è il discepolo?

Tutto sembra confermare la nostra ipotesi iniziale: il tema di questa pericope non è la famiglia, ma i requisiti necessari per far parte della comunità. Fuori dalla casa non c'era la famiglia di Gesù, ma qualcuno che, a qualsiasi titolo, accampava dei diritti su di lui, lo mandava a chiamare, pretendeva che egli accorresse e li ascoltasse. Il problema riguarda non tanto direttamente il ministero storico svolto da Gesù di Nazaret in Galilea e in Giudea, quanto i primi passi della comunità delle origini. Bisognava stabilire i criteri di appartenenza alla "chiesa": erano criteri di sangue, di etnia, di popolo? era importante essere ebrei circoncisi o poter vantare una familiarità di lunga data con il rabbi di Nazaret? o il discrimine era rappresentato solo dalla fede? Paolo si misura per primo con queste diatribe, ma ne troviamo l'eco anche nelle redazioni scritte dei Vangeli che, come sappiamo, nascono nell'ambito della giovane chiesa, parecchi anni dopo la vita terrena di Gesù.

A questi interrogativi la risposta di Gesù riportata dall'evangelista è chiara, in sintonia con tutto l'evangelo: occorre tradurre in pratica la volontà del Padre, ecco ciò che fonda l'identità del discepolo. Non chi dice "Signore, Signore ... " (Mt 7,2 1), non chi crede di saperne di più perché conosce Gesù da ragazzo (Mt 13,55), non i sapienti e gli intelligenti (Mt 11,25), non chi si sente a posto con la propria coscienza (Lc 18,11)...

"Famiglia" di Gesù è chi non rimane "fuori", in posizione critica e disimpegnata, ma entra e si lascia coinvolgere, assumendosi anche delle responsabilità; chi non accampa diritti, ma si pone semplicemente al servizio, con la disponibilità a considerare chiunque fratello, sorella e madre, ma senza pretendere di essere fratello, sorella e madre di nessuno: l'amore non si impone, si dona. "Famiglia" di Gesù è chi non si illude, per una qualche investitura istituzionale, di poter disporre di lui e "mandarlo a chiamare" a suo piacimento, ma chi si mette in strada per andare a cercarlo dovunque egli oggi si nasconda, dove meno ci si aspetterebbe di trovarlo...

Allora, forse, qui c'è materiale di riflessione anche per la famiglia concreta di oggi. Forse la famiglia oggi, come la società, come la chiesa, si trova a confronto con forme destrutturate, anomale, sconcertanti di aggregazione umana, e i vecchi collaudati schemi non funzionano più. Inutile recriminare sulla caduta dei valori o sulla perdita delle nostre sicurezze: anche il pianto di Israele lungo i fiumi di Babilonia rischiava di rimanere sterile piagnisteo, e il profeta sfida l'accusa di collaborazionismo pur di richiamare i deportati alle esigenze della vita: "Costruite case, piantate orti... prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie... cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare" (Ger 29,5-7).

Forse, il Vangelo ci dice semplicemente di non restare prigionieri dei nostri princìpi e delle nostre dottrine. La regola è dettata dalla sovrabbondanza dell'amore che spezza ogni regola: il Padre non solo perdona, ma quasi premia il figlio scapestrato indicendo per lui una grande festa, e il risentimento del fratello maggiore ci sembra giustificato (Lc 15,20ss); gli amanti del Cantico si cercano e niente può fermare il loro desiderio, né i fratelli di lei, né le guardie, né le amiche, né il re, né le consuetudini che non impediscono alla fanciulla di aprire all'amato la porta dell'alcova (Ct 5,5-6) o di inseguirlo di notte per le vie della città (Ct 3,2).

Anche la famiglia, forse, non è quella registrata all'anagrafe, come la chiesa non è nei registri dei battesimi. Anche nella famiglia, il criterio è "la volontà del Padre", e questa va riscoperta giorno dopo giorno, denudando il cuore nella preghiera e nel totale affidamento a Colui al quale vorremmo tanto sentirei dire nell'ultimo giorno: ecco mia madre e i miei fratelli...

Maisa Milazzo Biblista.