Dopo il racconto della rottura della relazione tra l’essere umano e Dio, i racconti delle origini mettono a fuoco un altro tipo di relazione. In Gen 4 l’attenzione è portata sui legami di fraternità: non si tratta tanto dell’intensificazione del male e delle prime conseguenze del peccato originale, quanto piuttosto si presenta una nuova sfera di relazioni in cui entra il peccato.
Il racconto comincia narrando la nascita di Caino prima e di Abele poi. Proprio questo fatto determina una serie di differenze che caratterizzano ognuno dei due fratelli e che danno avvio alla vicenda.
La nascita di Caino è accompagnata dal grido di gioia, quasi di trionfo di Eva: “Ho acquistato un uomo grazie al Signore”. Sembra strano l’uso del termine “uomo” in riferimento a un neonato, ma in questo modo già si allude al destino del bambino: è un nuovo individuo la cui nascita rappresenta una promessa, un’attesa carica di speranza per il futuro; egli continuerà la vita e la benedizione sulla terra. L’esperienza di tristezza e di rabbia che caratterizzerà Caino rappresenterà perciò un contrasto rispetto al voto di cui è portatrice la sua nascita. E’ come se la promessa iniziale venisse delusa e smentita dalla storia seguente e proprio questo non compimento costituisce di fatto la radice della disillusione e della violenza che animeranno Caino.
La notizie della nascita di Abele non è accompagnata da alcun commento. L’unico aspetto significativo e determinante ai fini della narrazione è che di Abele si dice innanzitutto che viene partorito il “fratello”: con la sua nascita Abele rende Caino fratello. Il racconto si costruisce così attorno alla coppia di fratelli Caino e Abele, che rinviano uno all’altro o per somiglianza o per opposizione. Infatti, la fraternità dice da un lato la somiglianza nella filiazione e dall’altro presenta tratti di diversità, che permettono la differenziazione di un fratello dall’altro e il riconoscimento della personale identità di ciascuno, ma che rischiano di offuscare l’elemento dell’origine comune.
Il primo elemento di diversità è costituito, oltre al nome, dal diverso tempo della nascita: Caino è il primogenito e Abele il secondo. Il racconto non insiste su questo aspetto, come capita altrove nella Bibbia, tuttavia, proprio in relazione alle vicende successive, ci potrebbe essere l’allusione al fatto che questa differenza riveste una grande importanza, perché può dare occasione di far nascere una rivalità. D’altronde la nascita del primogenito era stata accompagnata da un’aspettativa di benedizione e di pieno compimento della vita.
La seconda differenza, esplicitamente sottolineata, riguarda il mestiere dei due fratelli: Abele è pastore di greggi, Caino invece è contadino; la diversa professione collega i due fratelli ad una diversa cultura, senza che l’autore biblico dia un giudizio di valore su nessuno dei due ambiti.
Il diverso mestiere è quindi collegato ad un’ulteriore diversità che si manifesta nel culto reso a Dio da Caino e da Abele. Il gesto rituale è identico e ha come destinatario il medesimo Dio, ma è compiuto con un diverso oggetto di sacrificio, legato al differente mestiere. Ovviamente Caino offre i prodotti della terra, mentre Abele offre i primogeniti del bestiame. Il testo non commenta la qualità di nessuna delle due offerte, perciò non dà elementi per affermare che il dono di Abele sia migliore di quello di Caino, o addirittura sia il solo valido.
Il culto dà però origine all’ultima e decisiva differenza tra i due fratelli, formulata con un’espressione particolare: “Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta”. La frase è problematica perché ci sembra esprimere un atteggiamento opposto di Dio nei confronti di Caino e di Abele e delle loro offerte. Le interpretazioni avanzate generalmente sono secondo una logica retributiva, tendenti in un certo senso a discolpare o giustificare Dio rispetto a un suo atteggiamento che risulterebbe ingiustificato o addirittura scandaloso.
Un’altra linea interpretativa invece spiega il testo come un atto di elezione. Frequentemente nella Bibbia troviamo che il Signore accorda una preferenza ai più piccoli: il testo biblico intende dire che le offerte dei due fratelli non hanno la stesa efficacia, che ai due fratelli è riservato in sorte un successo diverso. Questo vuol dire semplicemente che Dio ama in modo diverso i due diversi fratelli. Il problema nasce dal fatto che ciò viene interpretato da Caino secondo la categoria del più e del meno: per Caino Abele ha di più e lui ha di meno o, più radicalmente, Abele ha, mentre lui non ha. E’ questo confronto che risulta problematico, soprattutto quando la diversità appare ingiustificata e, di conseguenza, la situazione viene dunque percepita come ingiusta. In realtà la reazione di Caino rivela l’invidia presente nel suo cuore; egli non ha quello che possiede Abele e inoltre non riesce più a vedere ciò che possiede, anche se diverso, rispetto al fratello. Questo viene percepito come una privazione, come se il bene, che si vede appartenere a un altro, sia stato ingiustamente sottratto.
Ora, la diversità appartiene alla creazione e alla storia: Dio ha chiamato all’esistenza un’incredibile varietà di esseri, fra loro distinti, e sceglie alcune persone destinando loro un dono particolare che le caratterizza come diverse da tutti gli altri, allo scopo di favorire la condivisione e la comunicazione della benedizione divina. Proprio la diversità, però, dal punto di vista dell’uomo diventa una prova: la disuguaglianza tra fratelli, invece di produrre aiuto reciproco, solidarietà, comunione di amore, suscita l’invidia e la violenza. Caino si sente defraudato di qualcosa di essenziale alla pienezza della sua vita; di qui il sentimento di amarezza profonda e di ira che lo spinge ad eliminare le cause di tale situazione, sentita come insopportabile: questo lo porterà a produrre il male.
Dio rivolge la parola a Caino: è il modo per dire che si fa sentire la voce della sua coscienza, la voce del bene che richiama ad una giusta valutazione dei dati e dei fatti della vita. In questo modo si evidenzia che il primo rimedio alla violenza, che sta nel cuore dell’uomo, è la parola che rivela la pericolosità della tentazione e la denuncia come male da contrastare.
La voce interiore si presenta innanzitutto come una domanda: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto?”. La domanda costituisce un rimprovero per lo stato d’animo e insieme un invito a cercare le ragioni dell’atteggiamento assunto, mostrandone l’infondatezza. La parola presenta poi un’opposizione tra agire bene e non agire bene: l’immagine usata indica che nel cuore dell’uomo c’è un istinto che sta all’uomo dominare.
E’ dunque il cuore il luogo intimo della decisione personale, da cui dipendono il bene ed il male, la giustizia e la violenza. La decisione per l’atto violento può avere delle motivazioni esteriori, tuttavia esse non conducono irrimediabilmente all’atto ingiusto; infatti, è possibile resistere e dominare la violenza.
Viene narrato il primo omicidio: si tratta di un fratricidio, ma, uccidendo Abele, Caino uccide di fatto una parte di sé, elimina qualcosa della propria identità. Di nuovo si evidenzia che, nel momento in cui l’uomo è responsabile del male che commette, ne è anche drammaticamente vittima.
Nonostante Caino cerchi di nascondere la sua colpa, tra Dio e Caino si svolge un dialogo: Dio interviene per svelare e condannare il peccato. E’ il secondo momento riservato alla parola, che si rivela di nuovo il rimedio alla violenza, svelando ciò che stato attuato e occultato.
Il dialogo si conclude con la sentenza di Dio avente tre clausole. La prima è una maledizione che colpisce Caino: in questo modo viene rappresentata la possibilità, all’interno dell’umanità, di una vita ribelle alla volontà di Dio. La seconda e la terza clausola hanno a che fare con la terra che, dopo aver bevuto il sangue, rifiuterà di dare vigore all’uomo. Caino ha seminato un germe di violenza e per questo ora raccoglie maledizione; ha voluto eliminare dalla terra il fratello, per questo troverà un suolo sterile. Caino non ha potuto accettare e sopportare un successo inferiore, ma facendo così ha perso anche quello che aveva, la terra e i suoi frutti. La perdita del fratello condanna poi Caino ad un perpetuo esilio, lontano dalla terra, ricevuta all’inizio in eredità.
Lontano da Dio, Caino diventa vagabondo: egli deve abitare la terra di Nod, la terra del vagabondaggio, ad est di Eden, cioè al di fuori della vita.
SPUNTI PER LA RIFLESSIONE
1) Rifletto sugli aspetti che mettono in rilievo l’ingiustizia che posso perpetrare nei confronti del fratello: il rifiuto della sua diversità, la gelosia per il bene da lui posseduto, differente dal mio, la rinuncia a dar credito ala voce della coscienza che mi invita a una retta riflessione?
2) Cerco di riconoscere quali sentimenti e quali paure guidano le mie relazioni di fraternità, conducendomi a reazioni di opposizione e di rigetto dell’altro?
3) Riesco a considerare l’agire di Dio come è mostrato nel racconto, il significato del suo ripetuto intervento attraverso la parola che svela ciò che c’è nel cuore dell’uomo e il male compiuto, permettendo di riconoscerlo e impedire che si moltiplichi?