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duefigli

Un uomo aveva due figli. Ci sono due parabole che iniziano così. Quella del padre misericordioso che attende il ritorno dei suoi due figli. E questa che l’evangelista Matteo ci offre per confrontarci con una nuova categoria di peccatori. I due figli protagonisti di questa storia rappresentano il cuore dell’uomo nel suo altalenante movimento di adesione a Dio o di fuga da Dio.

Un padre chiede ai suoi figli di custodire la vigna. Il padre sa che per la vendemmia servono operai di rinforzo, ma per la cura affettuosa della vigna di famiglia c’è bisogno di mani, di occhi e di cuore. La vigna è un tesoro. La vigna è la comunità dei credenti che richiede cure che soltanto i figli sono in grado di offrire e solo un’intensa passione permette di dare disponibilità, risposte e sacrifici.

Il primo dei figli risponde garbatamente di sì, ma poi non va nella vigna. Questo figlio vive con il padre, nella sua casa, ma il suo cuore abita lontano. Cura l’apparenza e la finzione. Immaturo e narcisista questo figlio non vede ciò che succede oltre la siepe dei suoi capricci. Si riempie di parole sacre ma la sua correttezza è esteriore e solo verbale. Questo figlio ha perso la somiglianza con il padre e svuota anche la propria identità di figlio.

Non ne ho voglia è la risposta del secondo figlio, sincero ma ostinato. Compie uno strappo in piena regola. Neanche ai tempi di Gesù il rapporto padri-figli era perfetto. Un atto di rivolta, uno dei tanti no detti a Dio fin dai giorni della creazione. Il no di questo figlio oltre a deludere il padre si trasforma in un boomerang perché muta la sua spavalderia in tristezza. Ma poi si pente e va a prendersi cura della vigna.

Così il figlio sgarbato compie la volontà del padre mentre quello educato e rispettoso se ne allontana per sempre. Nessun “ma poi” è stato più carico di intensità. La pausa di riflessione che quel figlio non si è fatto mancare gli è servita per un ripensamento. Senza una verifica profonda e, a volte, costosa non ci resta che una risposta di fede annoiata.

Dio va guardato negli occhi. La parabola di Gesù colpisce chi si nasconde dietro le belle parole che non rispettano Dio. La religiosità di facciata non salva nessuno. Sembriamo vivi, in realtà non abbiamo alzato un dito per conoscere e incontrare Gesù, la grande novità di Dio Padre.

Ai pubblicani il governo di Roma aveva dato in appalto la riscossione delle tasse. Erano detestati da tutti. Assimilate ai pubblici peccatori erano anche alcune donne per la loro vita frantumata e svenduta. Eppure Gesù non evitava né gli uni né le altre. Anche per loro desiderava essere segno vivo dell’amore del Padre.

“Chi dei due figli ha compiuto la sua volontà? Dicono: l’ultimo”. E Gesù conclude: “Ci sono ultimi che sono primi e ci sono primi che diventano ultimi”. I farisei non si sono pentiti per credergli e sono rimasti di pietra. Se uno è convinto di avere la verità e di essere a posto con Dio non ha motivi per convertirsi. Ma qui nasce il suo dramma. I farisei assomigliano al primo figlio. La loro giustizia di apparenza ha meritato da Gesù il giudizio di sepolcri imbiancati.

Gesù ci mette in guardia dalla presunzione che spegne il cuore e intristisce la fede. Ma Gesù sa che esiste un sì che di fatto diventa un no, e sa che esiste anche un no che per grazia, diventa un sì. Per la grazia di Dio diventa un sì.